Musica, il Kruger che non ti aspetti

Musica, il Kruger che non ti aspetti

Ci sediamo ad un tavolo mentre sorseggia il suo coktail. Gli chiedo se ha voglia di terminarlo serenamente prima di iniziare l’intervista ma mi risponde di no “è un buona circostanza per sorseggiarlo”.
Lorenzo Kruger arriva con un basco in testa, a coprire la chioma riccia, un paio di occhiali da vista tondi, una camicia a cui sovrappone un gilet, pantaloni morbidi e ai piedi delle stringate, niente baffi e niente barba; a vederlo appare diverso rispetto alla veste a cui il suo pubblico è stato abituato ad osservarlo durante questi anni di successi con i Nobraino, ed il cambiamento non riguarda di certo soltanto il suo modo di vestire, ma qualcosa di molto più profondo.
Insieme a lui, in questo nuovo spettacolo che sta portando in giro per l’Italia e che ieri ha fatto tappa a Licata, nessun altro musicista. Soltanto un pianoforte, sul palco, a fargli compagnia.
Le canzoni prendono nuova vita: la veste acustica che Kruger ha cucito addosso ai suoi pezzi li rende su misura per il live che ha creato; alcuni sussurati, altri quasi recitati. Si crea un’atmosfera molto intima che emoziona, e l’inedita performance risulta molto apprezzata dal pubblico presente in Piazza Elena.
Anche questa intervista può essere inedita e diversa rispetto a quella che potreste immaginare: al lato artistico si affianca, in modo del tutto naturale, il lato umano non del personaggio ma della persona, di un papà che cerca di essere bravo con i suoi due figli – Olivia, la maggiore, e il piccolo Arturo – di un uomo che continua a cercare una sua dimensione, di un cambio di prospettiva e di un senso di vertigine rispetto al futuro.

Sono passati circa vent’anni dai tuoi esordi con i Nobraino, com’è cambiato Lorenzo Kruger in questi anni?
“Credo “fisiologicamente”, ma nello specifico penso che quello che sono diventato oggi sia principalemente dovuto al fatto di essere diventato padre; più che un cambiamento è un collasso di possibilità: essere genitore ti riduce ad una sola condizione piuttosto che alle mille altre possibili, dal serial killer all’astronauta. Mentre in una situazione pre-figli puoi anche pensare di andare a fare un viaggio su Marte, nella fase post-figli molte condizioni collassano, diventa tutto più normale. Tutto questo nella mia attività non so come si rifletta, io cerco comunque di divertirmi il più possibile quando sono sul palco.”

In questo tour ti stai mettendo alla prova: solo tu e un pianoforte, quando le tue performance sono state sempre molto dinamiche e stravaganti. Come  ti trovi in questa nuova veste?
“In questo spettacolo sono costretto a stare immobile, al piano: non è di certo nella mia natura stare lì fermo, però è il frutto di un percorso, mi sto misurando con nuove cose e sto imparando anche a suonare seriamente il piano. Lo strimpello da tanto, perché le canzoni le ho sempre scritte con l’ausilio del pianoforte, ma non ne ho mai approfondito lo studio perché non rientrava tra i miei progetti ed i miei orizzonti. Lo scorso settembre però ho rotto gli indugi: ho preso le date del tour prima ancora di creare la scaletta dello spettacolo. Credo faccia parte del mio cambiamento: una volta ero più un frontman, adesso invece mi ritrovo molto più cantautore.”

Hai parlato dei tuoi figli e del tuo essere padre, ma Lorenzo Kruger com’era da piccolo?
“Non te lo saprei dire, ho eliminato tantissimi ricordi, non so come, forse incoscientemente; non ho molti ricordi dell’infanzia, però nemmeno adesso so cosa sono. Probabilmente anche allora ero alla ricerca di una forma in cui stare, una forma che non ho ancora trovato; non credo sia una cosa di cui vantarsi, anzi penso a volte sia più un handicap, però è così che stanno le cose.”

La musica però ti aiuta a dare una forma al tuo essere artista.
“Sicuramente mi definisce, perchè è un mestiere che ti identifica fino in fondo, 24 ore su 24; mentre per molti lavori puoi chiudere la serranda ed essere altro, in questa professione sei questo sempre, anche al di là del personaggio, vivi il tuo mestiere in maniera totale, e questo è un aspetto che sicuramente mi aiuta a definirmi, anche se poi definirti non ti porta a niente, il bilancio è tutto da vedere.”

Quando hai capito che volevi identificarti come artista, se mai ne hai preso coscienza.
“Sono da sempre una persona che ha bisogno di mettersi al centro dell’attenzione, quindi il palco attira i soggetti come me, ma poi per farne un mestiere di qualità servono anche tante altre caratteristiche perché non si può mica fare la bella statuina. Ho sempre cercato il mondo dell’espressione: ho scribacchiato, disegnato, fotografato, sin da quando ero ragazzino. Il palco però si adatta al mio essere istrionico, forse anche un po’ vanesio. Sarei anche potuto diventare un disegnatore, ma i disegnatori non li conoscono in molti, hanno una cerchia più ristretta, volevo fare qualcosa che avesse una platea più ampia e quindi incrociando un po’ tutti i dati fare il cantante è stata la soluzione ottimale.”

Una canzone che segnato il tuo percorso?
“Sicuramente “Bifolco”, ma anche “I signori della corte”, “Film muto”, “Bigamionista”. Mi piace che siano canzoni con attitudini diverse, perché  è quello che ho sempre cercato di fare: inseguire il mito picassiano di fare mille cose e di essere quell’uno dietro tante espressioni diverse.”

Di “Bifolco” tra l’altro avete registrato e pubblicato, in periodi diversi, due differenti versioni.
“Si, ne facemmo una versione nuova per inserirla in un altro disco, ma credo che quando un brano è bello lo puoi fare in tutti i modi, rimane sempre bello. Oggi il fatto di diventare più un cantautore che il frontman di una band è anche legato al mio attuale scarso interesse rispetto ai processi di lavorazione, in sala prove o in studio; credo che alla base ci deve essere qualcosa di ben scritto, e se la canzone è bella procede senza difficoltà con le sue gambe.”

Il progetto artistico con i Nobraino continua o sta vivendo un momento di pausa?
“Fino a settembre sicuramente continueremo a suonare insieme, dopo ho un po’ di cose che vorrei fare, penso che un periodo di pausa dopo questo ultimo disco ci sarà.”

Il vostro ultimo disco si chiama 3460608524, che altro non è che un numero di telefono al quale chiunque può contattarvi a giorni e orari stabiliti, com’è stato questo esperimento?
“Divertente. In realtà  ho comprato una nuova scheda, ho visto che numero avesse, e quello è diventato il nome del disco: l’abbiamo messa in un telefono e accesa durante questi mesi di tour. Di fatto quando sei in viaggio non sempre sai cosa fare e quindi ogni gioco torna utile. Il tempo che trascorri sulla macchina o sul pulmino è sempre tanto, troppo; a volte penso che si sta in giro una settimana per lavorare complessivamente circa 10 ore. Tutto il resto del tempo devi impiegarlo facendo qualcosa, anche se l’italia è comunque un bel Paese da vedere e girare, compresa questa bella piazzetta.””

A Licata eri già stato due volte.
“Si, il nostro precedente manager era di qui – Giuseppe Casa, creatore dell’etichetta discografica MarteLabel di Roma, ndr – e in quegli anni è nata una frequentazione frequente della Sicilia, un legame che è rimasto nel tempo, ci si viene sempre molto volentieri.”

“Ciò che più si avvicina ad esprimere l’inesprimibile è la musica” questa frase di Aldous Huxley si trova sul sito dei Nobraino, ti rappresenta?
“Non mi è difficile intenderla, perché di fatto la fisica dice, anche a noi dilettanti, che tutto è vibrazione. Se io dovessi ingrandire questo bicchiere all’infinito troverei sempre legami di energia e vibrazioni. Tutto, al 99,9%, è fatto di legami energetici, di vibrazioni, e le vibrazioni che noi riusciamo a percepire meglio sono quelle legate alla musica. La musica è come l’evidenza piacevole di tutto questo discorso, è quel grande segreto che ci parla e ci fa emozionare.”

I tuoi legami più forti invece quali sono?
“Sicuramente in questo momento i miei legami più forti sono quelli con la mia famiglia. Sono un “papà a doppio registro”, l’Olivia dice che sono un “bacione”, perché sono sempre lì a baciarli; però sono anche uno che si arrabbia, perché credo che abbia senso fare entrambe le cose. Il timore del padre ci deve essere se funzionale all’educazione e alla cura del figlio. Ci sono vari modi di educare, non credo di essere in cima alla lista dei giusti, però con questo doppio registro credo di trovare un buon compromesso.”

Che musica fai ascoltare loro?
“Più che altro che musica mi fa ascoltare lei! Ho fatto duemila kilometri in questi giorni in Sicilia e mi sono dovuto sorbire circa 100 volte il cd dell’Olivia con le musiche dell’asilo, canzoni sull’ecologia, lei le conosce e le canta tutte, roba da buttarsi dal finestrino. Io ho cercato di fargli ascoltare un po’ di indie italiano ma lei dice che è brutta.”

Chi ti piace del panorama indie attuale?
“Degli ultimi album mi piace quello de Le luci della Centrale Elettrica, alcuni pezzi degli Zen Circus, ma anche Motta ha fatto un bel disco, e poi qualcosa dell’ultimo disco dei Baustelle e di Brunori Sas; non ho molti schemi e non ho neanche molto timore di ascoltare i miei colleghi.

Abbiamo parlato del tuo cambiamento in questi anni, ma da qui a dieci anni invece come ti immagini?
“Non lo so, non ne ho idea, è un pensiero che potrebbe fare anche un po’ paura. Il mio è un lavoro che si farebbe meglio se fosse un secondo lavoro, perché permetterebbe di essere veramente libero mentalmente di creare e di scrivere. Se pensi alla competizione attuale che c’è, e allo scenario culturale che non aiuta – basta accendere la radio per rendersene conto – ti rendi conto del dramma, per cui non guardo al futuro perché altrimenti mi viene un po’ di vertigine, faccio uno scalino alla volta.”  » Angela Amoroso
29 maggio 2017


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