Musica, Pollio: un artista, un cognome e una rinascita

Musica, Pollio: un artista, un cognome e una rinascita

Una storia che inizia da Milano con un ragazzo che ama la musica ma anche il teatro, non crede in Dio ma deve molto a De Andrè, adora la filosofia – in particolare Spinoza – è legato al mare e soprattutto crede nella vita che nasce dalla morte.
Lui è Fabrizio Pollio, ed è stato l’artista che ieri sera ha intrattenuto il pubblico del Cantunera, a Licata, per il quinto appuntamento della rassegna #mONdayLive.
Nel corso della serata i pezzi del suo album d’esordio da solista, Humus, si sono intrecciati in modo armonico con alcuni brani che appartenevano alla sua band precedente, gli “Io?Drama”, e con alcune cover di tutto rispetto: da De Andrè a Battiato passando per i Radiohead e David Bowie. Insieme a lui c’erano Jacopo Sam Federici al basso e Giuseppe Magnelli alla chitarra elettrica. 
Se vi state chiedendo invece se il suo sia un nome d’arte la risposta è no: Pollio è il suo vero cognome, che tra l’altro mi confessa non ama poi così tanto, ma che ha scelto, forse anche un po’ incosciamente, per una “rinascita” che scopriremo in questa intervista.

Prima di essere un solista con gli “Io?Drama” hai prodotto tre album e un Ep riscuotendo tanti successi: come mai la scelto di intraprendere un nuovo percorso?
“Mi piace sempre dire che non ho lasciato la band e che nemmeno gli “Io?Drama” si sono mai sciolti, abbiamo solo deciso di prenderci del tempo. Nel 2003 IoDrama era il mio nome da solista: essendo gli anni delle prime chat tutti usavano uno pseudonimo, e anche io volevo usarne uno che mi identificasse; considerando che mi piaceva il teatro ho deciso di trasferire questa mia passione nella musica, ed è nato “Iodrama” a cui poi è stato aggiunto il punto interrogativo proprio perché da solista ho creato la band. Con gli “Io?Drama” abbiamo fatto un percorso molto intenso: dodici anni di musica con tanti bei momenti. Com’è normale che sia, nel tempo le nostre vite sono anche cambiate rispetto agli inizi, quindi abbiamo deciso di sospendere per un po’ e dedicarci singolarmente a quello che più ci andava di fare in quel momento; magari torneremo insieme tra alcuni anni, avendo ritrovato quell’energia rigenerata dai percorsi intrapresi da ognuno di noi. Io ho deciso di dedicarmi ad un lavoro da solista e dopo dodici anni ho pensato di abbandonare lo pseudonimo e chiamarmi con il mio vero cognome.”
Le canzoni che sono state inserite nel tuo album di esordio le avevi già scritte o sono nate appositamente pensando a questo nuovo progetto?
“Alcune già le avevo scritte, come il Figlio malpensante: il testo è del 2009, ma l’arrangiamento è nato appositamente per questo album. La maggior parte però sono nate proprio per questo nuovo progetto, avevo voglia di parlare liberamente, di mettermi a nudo con i testi; con gli “Io?Drama” avevo fatto un lavoro più d’estetica, qui invece volevo essere soltanto me stesso. C’è anche da dire che è stato un anno molto difficile della mia vita , in cui ho deciso di fregarmene del pensiero della gente e ho fatto quello che mi andava di fare.”
Come mai hai scelto il nome Humus per il tuo album?
“Humus ha diversi significati, è una parola pregnante: è la radice latina della parola umiltà ma anche di ciò che riguarda la Terra. Questo disco è nato principalmente in Sardegna e anche questo fattore ha la sua rilevanza: mi piace il senso di evasione che posti come la Sardegna ma anche la Sicilia riescono a trasmettermi, amo il mare e quindi da questo punto di vista sono un milanese atipico. “Humus” per il mio disco d’esordio aveva un significato specifico: è quella parte della terra che può dare dei frutti, che vuole crescere, restando umile.
Venivo come dicevo prima da un periodo difficile: ho perso mio padre lo scorso maggio, e questo avvenimento ha totalizzato la mia mente; da quel momento è come se mio padre stesse crescendo dentro di me e forse anche per questo ho deciso di usare il mio vero cognome, me lo sono tenuto più stretto. Ero legatissimo a mio padre e oggi ancora di più penso che da ciò che muore possa nascere qualcosa di buono, Humus è questo per me: lo strato fertile della Terra fatto dai corpi morti, da ciò che si decompone ma che permette di rinascere in modo diverso. Volevo ricordarmi che anche la morte improvvisa di mio padre aveva fatto crescere qualcosa di bello e che niente nella vita avrebbe potuto farmi pensare che si sia stata solo un’ingiustizia. In questo modo lui è stato ancora una volta per me un fertilizzante, tra l’altro ha anche donato gli organi: dalla sua morte è effettivamente rinata una vita. Tutto quello che ho vissuto in quel periodo non avrei potuto scriverlo se non sotto forma di canzoni.”
Qual è quella alla quale sei più legato?
“Domanda difficile: ogni canzone è un pezzo di album, è vita vissuta di cui ho descritto vari aspetti in ogni canzone, quindi ognuna la sua importanza. “Oggi è domenica” è quella da cui è iniziato tutto: ero in Sardegna e di notte senza rendermene conto ho iniziato a scrivere il testo; “Generico” mi piace perché in questo testo riesco veramente ad essere libero; “Le vite degli Altri” rappresenta il momento in cui mi sono messo totalmente a nudo: è stato il punto di svolta che mi ha portato ad essere quello che sono oggi, non tanto come musicista ma proprio come persona; “Incompiuta” piaceva tanto a mio padre: pensava che con quella avrei spaccato e chissà che non avesse ragione; “Angelus” l’ho scritta proprio in merito al trapianto e quindi è un altro pezzo di cuore; “Il figlio malpensante” mi descrive molto.
Forse a bruciapelo direi “Le vite degli altri” perché è stato il momento in cui ho realizzato che non avrei più parlato con retorica; tra l’altro è il singolo che è uscito prima dell’album, in estate, pochi mesi dopo la scomparsa di mio padre, è stato un momento molto intenso. Stavo creando un nuovo me e in quel momento, guardando le vite degli altri, ho pensato a come posizionarmi in questa nuova realtà. Ancora oggi quando l’ascolto mi rendo conto che è nata in modo quasi magico.”
Il tuo cantautore di riferimento?
“Ne ascolto di diversi, li studio anche, ma penso che De Andrè mi abbia cambiato l’esistenza. Battiato lo amo tanto quanto lui, ma De Andrè mi ha fatto sentire meno solo, non tanto per i suoi testi ma perchè mi ha fatto capire che interrogarsi è importante cosi come porsi delle domande etiche. A me piace molto la filosofia , soprattutto quella etica, e adoro Spinoza: Battiato è talmente oltre che diventa lui stesso filosofo, De Andrè invece lo vedo più come un “comune mortale” che si pone le mie stesse domande, allo stesso modo; e poi  il modo in cui descrive la realtà, le persone, i loro vizi e la capacità di perdonarli. Io sono ateo, però ho sempre riconosciuto al Cristianesimo il grande merito del perdono. De Andrè mi ha spiegato il perdono meglio della Bibbia, mi ha aiutato a mettere da parte la rabbia, l’odio, i pregiudizi, e quindi gli devo qualcosa.”
Come vedi la scena alternativa musicale italiana attuale?
“Negli anni in cui ho iniziato  a suonare, nessuno si sarebbe mai aspettato di passare alla radio o in televisione così spesso come oggi accade ai The Giornalisti, allo Stato Sociale, a Calcutta o Motta ad esempio, quindi di questo sono contento: è come se una grande squadra avesse vinto. Credo però che non ci sia totale libertà, quanto piuttosto una sorta di standardizzazione: essendo un genere che in questo momento sta andando bene, è come se tutti si stiano omologando verso quella direzione. Vedo una grande voglia di reportage e questa cosa un po’ m’annoia, oppure l’ostentazione del bello degli anni 90 perché vanno di moda, o anche la fissa del vintage. Il problema non sono i gruppi di cui parlavamo prima che si sono distinti, ma tutti gli altri che per cercare di arrivare emulano le loro gesta, quando in realtà potrebbero dire altro. Io penso che l’arte e quindi la musica, debba essere fatta permette di essere diverso, di evadere, di dire quello che non c’è, creare un mondo alternativo; per questo ho sempre cercato di essere “l’altra cosa”, non so se faccio bene o male ma sono soddisfatto così, almeno ci provo, di certo non cambierò il mio stile, sono sereno così.
Motta è comunque quello che mi piace di più perché mi sembra quello più legato al presente, un contemporaneo; gli altri li trovo molto bravi, efficaci, intelligenti e consapevoli del mondo in cui viviamo.”
Dopo questo tour quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Il 30 marzo chiudo il tour con un concertone con cinque grandi musicisti alla “Salumeria della musica” di Milano, un club ma anche un locale d’ascolto che potrà far risaltare la loro bravura: è il mio modo per ringraziarli per la fiducia che hanno sempre avuto in me e nella mia musica. Successivamente voglio fare un po’ il punto della situazione: sicuramente in estate farò un altro tour ma non so se in maniera così intensiva; vorrei dedicare del tempo alla nascita del nuovo album, ho voglia di chiudermi in qualche posto, da solo, creare e scrivere.
Questo ultimo anno è stato di certo l’anno più breve della mia vita, è trascorso molto velocemente, la botta che ho preso è stata forte; tutto è affiorato in me molto lentamente e adesso c’è il desiderio di mettere dentro ad un nuovo progetto tutto quello che ho vissuto in questi mesi. Magari nasceranno nuove canzoni, un nuovo sound e un nuovo cammino.”» Angela Amoroso
21 marzo 2017

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