Teatro, a Sonata a Kreutzer di Giulia Randazzo a Calatafimi il 23 agosto

Teatro, a Sonata a Kreutzer di Giulia Randazzo a Calatafimi il 23 agosto

Domenica 23 agosto alle 21,30, nell’ambito della rassegna “Dionisiache Calatafimi – Segesta Festival 2015”, presso il Convento di San Francesco, nel borgo di Calatafimi va in scena l’anteprima nazionale dello spettacolo La Sonata a Kreutzer, per la regia di Giulia Randazzo, costo del biglietto 10 euro. Sonata a Kreutzer, ispirato ad un racconto breve di L. Tolstòj e alle note dell’omonima opera di Beethoven, conduce lo spettatore a bordo di un vagone ferroviario della Russia di fine Ottocento. Un lungo viaggio in treno e il racconto di una vita confessato a uno sconosciuto: è il racconto di Vasja Pozdnyšev, assassino della propria moglie.

Proprio in un periodo storico in cui la violenza sulle donne diventa un fenomeno sempre più preoccupante nel nostro Paese, la Russia narrata da Tolstòj ci offre l’occasione di addentrarci nelle ragioni che spingono gli uomini a macchiarsi di delitti tanto atroci.  Sonata a Kreutzer non è solo una riflessione sul femminicidio,ma anche un’inquietante meditazione sul potere dell’arte e sugli effetti che la musica provoca nell’immaginario umano. E mentre il treno corre, l’agghiacciante confessione apre le porte a tutti i dèmoni che tormentano i pensieri del protagonista, rivelandone una personalità segnata da un inconciliabile strappo interiore. Sul palcoscenico, a dar vita a questo strappo saranno Gianni Giuliano (Savona, classe 1948) – noto al grande pubblico per aver prestato la voce tra gli altri a Billy Nighy e Jeremy Irons – e il giovane palermitano Aurelio D’Amore (1989), entrambi impegnati nel doppio ruolo di Vasja Pozdnyšev.

“La scelta di affidare a due attori lo stesso ruolo – spiega la regista Giulia Randazzo – nasce dalla necessità di restituire carnalità all’angoscia di un personaggio succube del giudizio della propria mente onnipotente, perennemente spettatore di se stesso nell’azione. Il viaggio di Vasja è il tentativo di un’improbabile riconciliazione con se stesso; è il travaglio di un uomo schiacciato dal peso della colpa, il quale implora il perdono di uno sconosciuto, che diventa metafora dell’umanità intera”.

Alla narrazione di sé non si può porre rimedio: il passaggio dal silenzio alla parola genera l’irrimediabile. I due interpreti ci restituiscono un monologo a tratti onirico e dallo stile concertante, in cui l’immediatezza del racconto orale si fonde nel finale dell’opera al fascino prepotente della musica di Beethoven, esaltato dalle sonorizzazioni e dalle live performance di Gabriele Giambertone. Il vagone diventa uno spazio claustrofobico, irreale quanto concreto,cui si ispira l’intero allestimento: “Abbiamo rielaborato l’idea di treno, nel tentativo di creare un ambiente che fosse rappresentativo di un luogo della mente -racconta lo scenografo Mattia Federici- anche nella scelta dei materiali ho cercato di attenermi a questa dissonanza propria del protagonista, creando una commistione tra gli elementi grezzi del treno, legno e ferro, e il salotto russo con la morbidezza dei suoi drappi”.

Nei costumi di Rosa Lorusso è evidente la volontà di cogliere nell’abito, con le sue crinoline a vista e i suoi corpetti, la condizione sociale della donna di fine ‘800. Le costrizioni fisiche date dal vestito equivalgono alle costrizioni sociali cui la donna era sottoposta. Il vestito dell’uomo a confronto è semplice e anonimo, proprio perché era attraverso l’abito della moglie che si faceva mostra delle ricchezze del marito. Ed è proprio quando Vasja vede il corpo della moglie deposto nella bara che le crinoline e i corpetti vanno via: solo nella tragicità dell’omicidio il marito diventa capace di riconoscere nella moglie un altro essere umano.» red
22 agosto 2015



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