Musica, Fabio Curto: come sta andando dopo la vittoria a The Voice

Musica, Fabio Curto: come sta andando dopo la vittoria a The Voice

Il giovane cantautore calabro ha vinto The Voice e ha conquistato tutti con questa sua voce avvolgente e la sua attitudine coinvolgente.
Il suo background di esperienze è davvero caleidoscopico e la sua cultura musicale va ben oltre i confini non solo nazionali o americani/britannici, ma abbraccia la musica popolare di qualsivoglia Nazione, con una vera e propria passione per la musica etnica in generale.
A metà ottobre è uscito il suo omonimo album e lo abbiamo incontrato per parlare un po’ di quello che è successo durante il talent, quello che sta succedendo adesso e quello che vorrebbe succedesse in futuro.

Da un punto di vista musicale sei cambiato dall’inizio ad adesso? Cambieresti le tue vecchie canzoni e se sì in che modo?
Sicuramente ho avuto un arricchimento dal punto di vista artistico a livello di come strutturare una canzone affinché sia commerciale al punto giusto. Fino a oggi non mi sono mai preoccupato di fare dei pezzi con potenza commerciale; avevo una nicchia di follower ai quali bastava quello che facevo, con i miei vari progetti; adesso la fetta delle persone che mi conoscono è sicuramente più grande ed è tutto in fase di elaborazione. Forse un po’ è cambiato il mio modo di comporre, se tornassi indietro non cambierei i miei pezzi, ma nelle ultime settimane soprattutto sto riascoltando tanto materiale che avevo registrato e sto cercando di dargli una forma più logica, più solida! Due anni fa non mi interessava di avere il ritornello a un minuto e quindici, adesso per certi versi è anche una necessità! I miei fan mi sono veramente molto vicino: sono loro il mio principale interlocutore e ascolto molto quello che dicono loro, li tengo molto in considerazione! Al momento sono molti gli ascoltatori che vogliono sentirmi più “folk”, così come sono molti quelli che apprezzano le linee in italiano. Diciamo che in questo momento sono pronto ad affrontare il discorso migliore che possa far combaciare i gusti e gli interessi dei fan senza rovinare la mia identità musicale. Non ho fretta di fare l’album della mia vita: è importante fare buona musica, poi siccome spero di continuare a fare musica per tutta la vita, ne avrò di tempo per fare anche un album country con un batterista del Kazakistan, per capirci!

Non sei legato ad un’idea di musica, dove sei disposto ad arrivare?
Ho composto e cantato black metal per tre anni, suonavo il basso! Quando una cosa non mi piace, non mi piace a pelle, semplicemente. Limiti non me ne pongo però mi rendo conto che le esigenze discografiche si racchiudono in termini come coerenza attorno ad un album, magari! Mi piacerebbe fare il percorso di Ben Harper, per capirci: lui ha fatto delle cose molto diverse l’una dall’altra, però senza compromettersi perché probabilmente è già nato con l’idea di fare tanta musica diversa! Buttando un occhio al futuro mi piacerebbe poter fare tanta musica diversa!
Limiti per il momento non me ne pongo; sono legato alla musica tradizionale di ogni posto sulla Terra: mi piace sentire musica etnica e ne ho ascoltata e suonata tanta! Il mio modo di vivere un pomeriggio tipo a Bologna è suonare un pezzo rumeno con il violino, passo in cucina, mi faccio un caffè, prendo la chitarra e suono un pezzo di Neil Young, poi ascolto “Non Mi Assolvo” e la studio. Musicalmente ho bisogno di emozioni, non sono quello che si sveglia la mattina e mette radio country per vent’anni!

Non hai quindi nemmeno bisogno di etichette?
No, sicuramente sono molto legato al blues, anche perché quando hai una chitarra in mano e canti in inglese caschi in dei generi comunque probabili. Country, blues, folk americano, così come nel soul e anche le sperimentazioni elettroniche mi interessano, senza denaturare troppo il timbro vocale.

Visto il caleidoscopio musicale che ti porti dietro e la tua capacità di composizione dei testi sia in inglese che in italiano, come nasce una tua canzone a livello di routine creativa?

È una questione di climax: mi affeziono ad una sensazione, inizio a scrivere… nasce sempre prima la musica nella mia breve storia musicale (ho 28 anni, ancora!); ho mimato le linee vocali, in una lingua che non saprei definire e poi ho aggiunto i testi, però i suoni sono la cosa veramente più importante. Vedete, credo che quando la gente mi scriveva di essersi commossa, di aver pianto durante “Hallelujah”, uno su dieci conosca il testo della canzone! È proprio la sensazione comunicata attraverso i suoni di questa canzone, attraverso la vocalità, che ti porta in un mondo particolare; ognuno di noi poi ci vede quello che vuole, però io credo molto di più nella musica. I testi sono chiaramente molto importanti, ma per me i testi sono al centro, quelli creano veramente l’emozione. Chiaro che la parola giusta messa al momento giusto può aprirti in due, però il suono è quello che conta.

C’è qualche altra cover che avresti voluto interpretare?

Tante! Mi sarebbe piaciuto cantare “The Ghost of Tom Joad” di Bruce Springsteen, per esempio… “Mad World” l’avevano già fatta… ma tante, tantissime, la maggior parte in inglese, oppure “L’uccisione di Babbo Natale” di De Gregori, molto folk americana, o un brano di De Andrè! In televisione c’è bisogno di un brano conosciuto!

Il percorso umano a The Voice com’è stato?

Un assedio psicologico proprio! Non so dove ho trovato la forza di affrontare questo impatto davvero molto forte. Lavorare in studio con professionisti di questo calibro non mi era ancora mai capitato, quindi ho colto anche delle sottigliezze nel lavoro d’arrangiamento, di registrazione, di interpretazione molto importanti! Robi e Francesco sono stati molto vicini a tutta la squadra sin dall’inizio per cui questo ha agevolato molto il percorso ansiogeno che vivevamo all’interno del programma con ritmi devastanti. A metà programma mi sono reso conto che ero forgiato per un impatto del genere, non ho avuto particolari problemi di stress e smarrimento, a parte quando la pagina Facebook e i social sono impazziti: da un giorno all’altro ti ritrovi a dover rispondere a 250 mail, mille notifiche mentre ti prepari per il programma! Devi iniziare a coltivare questo rapporto e non puoi spiegargli che non gli rispondi perché sei impegnato: te la tiri subito, altrimenti. È difficile, è stata durissima sia all’interno del programma che subito dopo: l’impatto anche a casa, visto che vengo da un paese del Sud, avevo gente attaccata al campanello, vivevo da un’altra parte.
Dentro di me è cambiato ben poco: tutto ciò che è cambiato è funzionale a quello che sto facendo e che verrà; caratterialmente non sono cambiato di una virgola e me lo confermano tutte le persone che mi conoscevano prima. » Chiara Colasanti
TW @lady_iron
15 novembre 2015

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