La pergamena del Conte Ruggero

La pergamena del Conte Ruggero

Per la prima volta nella storia è stata esposta al pubblico la pergamena con la quale il Conte Ruggero, nomina San Gerlando Vescovo di Agrigento. L’esposizione è avvenuta in  occasione dei festeggiamenti di San Gerlando, sabato 21 febbraio, durante “la notte medievale”.
La serata ha avuto inizio con il saluto delle autorità e la rievocazione dell’arrivo di Gerlando a cui è seguita, presso il MUDIA, l’esposizione della pergamena

Un’iniziativa, quella della “notte medievale” voluta dall’arcivescovo Francesco Montenegro, per mantenere viva e desta l’attenzione sulla cattedrale chiusa ormai da 4 anni.
“Quello che abbiamo vissuto – ha detto il cardinale Montenegro, non è solo un moneto di folklore, è molto di più. Guardando la pergamena sentiamo l’orgoglio di una storia che è iniziata intorno al 1000 che ha avuto come protagonista Gerlando… una storia che continua oggi e dove i protagonisti siamo noi… Sentiamoci fieri – ha concluso l’arcivescovo – di essere agrigentini”.

La storia. Agrigento, Ruggero I e Gerlando di Besançon
L’esposizione, quest’anno, del prezioso diploma con cui Ruggero I istituì la diocesi agrigentina ci permette di riconoscere al condottiero normanno i suoi meriti.
Però, come mai la diocesi fu rifondata da principe? Non toccava alla Chiesa?
Il 25 luglio del 1087, dopo vari tentativi andati a vuoto, il Gran conte Ruggero prese la città araba di «Gergent», ovvero la futura Girgenti, poi Agrigento. Gergent era la roccaforte araba della Sicilia occidentale. Con l’arrivo dei normanni, fu subito avviata la ricostruzione della città cristiana, poiché quella che Ruggero trovò non lo era affatto. Mancavano forse del tutto i cristiani, erano assenti i luoghi di culto, poiché, se qualcuno se ne era salvato, ricadeva fuori dalle mura, giù a valle, dove una volta sorgeva la città bizantina, e infine la stragrande maggioranza della popolazione era costituita da gente di fede musulmana. La città cristiana era, dunque, da impiantare da cima a fondo.
Nella ricostruzione, il contributo dei vescovi agrigentini fu capitale. Inizialmente, però, fu compito di Ruggero I ridisegnare una topografia cristiana alla città, in modo che il vescovo ritrovasse la sua posizione centrale, come era stato al tempo della città bizantina. Egli, prima, rifondò la diocesi, ampliando di molto i confini di una volta e dotandola delle rendite necessarie. Poi, senza consultare il papa, Ruggero scelse per l’estesissima diocesi il vescovo più idoneo e lo trovò per l’occasione nella persona di Gerlando, canonico di Besançon e suo parente. Infine, Ruggero fece costruire la cattedrale (detta allora “episcopium”) e la volle accanto al castello.
La libertà con cui Ruggero si muoveva nell’impiantare in Sicilia nuove diocesi, stabilirne i confini e soprattutto nell’eleggere personalmente i vescovi senza confrontarsi, né con il papa né con qualche altro organo elettivo ecclesiale, tutto questo, insomma, non poteva piacere a Roma. I pontefici, in questo tempo, si muovevano in tutt’altra direzione, pretendendo il controllo delle Chiese locali, l’elezione dei vescovi e la subordinazione al papa dei sovrani. Tra gli articoli del cosiddetto Dictatus papae di Gregorio VII, datato al 1075 e quindi all’epoca della conquista di Ruggero I, ne troviamo alcuni che sanzionano chiaramente il controllo papale sui vescovi locali e la dipendenza dell’autorità dell’imperatore dai pontefici: solo il papa «può deporre o ristabilire i vescovi» (III); «Solo il pontefice può usare le insegne imperiali. I principi devono baciare i piedi solo al papa» (VIII e IX).
Ruggero applicò per la Sicilia, e quindi per Agrigento, lo stesso progetto ecclesiale dei papi, ovvero una ridistribuzione e ristrutturazione dei territori conquistati in diocesi, che dovevano far capo al vescovo. Ciò non di meno, egli si comportò molto autonomamente, disponendo a suo piacere dei territori per le ripartizioni diocesane e delle elezioni dei vescovi. Alla fine, dopo molte tensioni, papa Urbano II concesse a Ruggero l’autorità a procedere personalmente all’elezione del vescovo, conferendogli la cosiddetta Legazia apostolica. Questo privilegio fu conservato anche da tutti coloro che si susseguirono al governo della Sicilia, ma, nel Settecento, costò molto sangue agli agrigentini e durò, grosso modo, fino al 1860.
Per fortuna, Ruggero I, scegliendo Gerlando suo parente come vescovo di Agrigento, realizzò allora un caso di nepotismo felice. Goffredo Malaterra, ovvero il corrispondente di guerra che accompagnò Ruggero nelle battaglie, assicura che Gerlando era fededegno, perché era un ecclesiastico pio e capace: «[Ruggero] ordinò vescovo e prepose a questa Chiesa un certo Gerlando, allobrogo di nascita, un uomo, come dicono, di grande carità ed esperto nelle discipline ecclesiastiche».

» Redazione
14 marzo 2015

 

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