Migranti: non dimenticare i morti, dare speranza ai vivi

Migranti: non dimenticare i morti, dare speranza ai vivi

di Maurilio Assenza
direttore della Caritas diocesana di Noto

Un anno fa, il 30 settembre, 13 morti sulla spiaggia di Sampieri, quasi quattrocento qualche giorno dopo a Lampedusa il 3 ottobre… E poi tanti altri, centinaia, migliaia di morti nel Mar Mediterraneo. Non possiamo dimenticarli!
Davanti al loro grido muto devono tacere le parole inutili, deve emergere il linguaggio originario del pianto e dei gesti di pietà che ci fanno rimanere umani. Un pianto che Papa Francesco ha chiesto anche nel ricordo della tragedia della prima guerra mondiale, che continua nelle guerre successive con cui si colpiscono indiscriminatamente tutti e si apre una spirale infinita di vendetta. Un pianto per le tragedie della famiglia umana che ci riguardano tutti.
Chi impara a piangere ritrova anche le priorità della vita. A iniziare dal soccorso che comunque va dato ai vivi. Non fermandosi ai primi passi, ma avviando cammini di dignità e di giustizia che ci rendono tutti veramente umani.
Il nuovo umanesimo, il nuovo modo di essere umani, infatti, non si afferma astrattamente ma continua a rinnovarsi in tutti coloro che come il Samaritano (cfr. Vangelo: Luca 10, 25-37) si chinano. E ci sono tante persone che nel silenzio lo fanno. Ponendo gesti e relazioni che configurano diversamente le nostre città, che ce li fanno ripensare “a misura di sguardo”.
Guardando il fratello, si prosciugheranno le paure e impareremo a darci tutti una mano. Certo, senza ingenuità, con cura educativa, ma anzitutto senza indifferenza! Dando loro voce e lasciandoci da loro guardare e interrogare. Come fa un giovane del Burkina Faso notando con stupore che da noi hanno un tetto (il garage) le macchine e non le persone che restano “senza tetto”. Rilevando una disperazione diversa da quella che nasce dalla fame, una disperazione che nasce dalla sazietà: «Hanno superato – scrive alla madre – il punto di sazietà e ora sono smarriti. Non sanno più dove vanno. Dopo aver risolto il problema della fame, loro hanno risolto il problema del divertimento, poi, hanno pensato di farlo pagare, ora, non sanno più che fare. Forse si annoiano».
Ed ecco che i migranti ci “servono”, non solo per la natalità e l’economia, ma soprattutto per farci restare tutti veramente umani. E per incontrare nella loro visita il volto di Dio, che è non è monolitico ma gioca con le differenze e tutti ci include in una polifonia di amore. E che alla fine solo su questo, solo sull’amore, ci giudicherà!

» Maurilio Assenza
30 settembre 2014

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