Orgoglioso

POLITICA – Il primo febbraio scorso, il tribunale di Agrigento condannò il sindaco di Ravanusa, Armando Savarino (Udc), e la figlia, Giusy, ex deputato regionale perchè avrebbero alterato il regolare svolgimento dei concorsi nella sanità agrigentina. Tre anni e 6 mesi di reclusione furono inflitti al Sindaco, accusato di abuso di ufficio e voto di scambio nell’ambito di un’inchiesta che ipotizzava irregolarità in tre concorsi pubblici banditi dall’Asl di cui Savarino, all’epoca dei fatti, era direttore sanitario.
Nello stesso processo fu condannata a due anni e due mesi di reclusione la figlia Giusy, anche lei imputata di abuso d’ufficio. Agli altri 10 imputati sono state inflitte pene comprese tra otto mesi e due anni e quattro mesi. L’ex consigliere provinciale e segretario di Giusy Savarino e attuale assessore comunale di Ravanusa, Calogero Gattuso, fu condannato a scontare 8 mesi.
L’indagine dei carabinieri, avviata nel 1998, che svelò la Concorsopoli agrigentina, riguardava tre concorsi banditi dall’Asl, che sarebbero stati truccati e decisi solo grazie ad una fitta rete di raccomandazioni. Il Tribunale accolse tutte le richieste del pm Luca Sciarretta. Tra gli elementi dell’accusa anche uno schedario sequestrato nella segreteria politica di Giusy Savarino, con circa 800 nomi e con a fianco la “sigla” del potente che ne sollecitava l’assunzione.
Reati gravi, specie per chi si occupa della cosa pubblica. Cosa è successo da allora a Ravanusa? Niente. Il sindaco non intende dimettersi. Insieme alla figlia si è autosospeso dal partito, per tutelarlo, anche se il coordinatore regionale – Giampiero D’Alia – precisò che “non ricoprono alcun ruolo all’interno dell’Udc se non quello di iscritti”. Invece Armando Savarino un ruolo al comune di Ravanusa ce l’ha: è il Sindaco. Ma non sente, evidentemente, il bisogno di tutelare l’istituzione che rappresenta, dal grave nocumento morale che la condanna che ha riportato comporta. Non ne vede il motivo. Non prova alcun turbamento, nessuna mortificazione, derivante dalla consapevolezza che ha tenuto un comportamento censurabile, riprovevole.
Anzi, rilancia si dice “orgoglioso di averlo compiuto”. Durante il Consiglio comunale, tenutosi il 4 marzo scorso, ha detto di non essere pentito di aver commesso il reato per il quale è stato condannato e che lo rifarebbe “altre centomila volte, anche per sistemare quelle persone che oggi chiedono le sue dimissioni e che molti anni fa lui stesso ha fatto sistemare compiendo grandi illegalità”.
Cosa dire? Ha confessato candidamente di essere stato scoperto una volta, ma di aver commesso gravi irregolarità, in altre occasioni, per “sistemare” le persone che oggi ne chiedono le dimissioni. E si dice pronto a rifarlo, allora fa bene a restare dove si trova: quello è il posto giusto per continuare a “sistemare” amici e parenti.
Dopo il paradosso di Licata, dove il sindaco, Angelo Graci, rimane al suo posto nonostante sia coinvolto in un’inchiesta su una presunta tangente, siamo al paradosso di Ravanusa. Per essere un comportamento fuori dalla logica comune, sta diventando piuttosto comune e accettato senza protestare.
Toccherebbe ai consiglieri comunali sfiduciare il sindaco, a Licata i consiglieri alzarono bandiera bianca: preferirono dimettersi in massa, piuttosto che sfiduciarlo. Toccherebbe ai suoi concittadini esprimere una condanna morale per quanto accertato e quanto candidamente ammesso. A Licata il Sindaco, esaurito il provvedimento della Magistratura, che gli ha imposto per un anno il divieto di dimora in città, è stato riaccolto come se nulla fosse, come se sulla sua testa non pesasse la grave accusa di aver intascato una tangente. Nessuno gli fa notare il disonore di cui è stato macchiato e con cui sta macchiando il ruolo che ricopre.

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