La Repubblica Pag. 62
Emma Dante, un’eretica alla Scala “La mia Carmen un virus nell’opera” di NATALIA ASPESI
Non c’è stata da anni tanta impazienza e curiosità per l’inaugurazione del nuovo anno scaligero, trattandosi dell’incontro tra la Carmen sivigliana, sigaraia seduttrice, ed Emma Dante palermitana, autrice e regista teatrale di devastante immaginazione.
Non c’è stata da anni tanta impazienza e curiosità per l’inaugurazione del nuovo anno scaligero, trattandosi dell’incontro tra la Carmen sivigliana, sigaraia seduttrice, ed Emma Dante palermitana, autrice e regista teatrale di devastante immaginazione.
Infatti per la serata riservata ai giovani, il 4 dicembre, nei primi 15 minuti sono state 8000 le richieste online, mentre la biglietteria ha esaurito i posti in 2 minuti.
I loggionisti sono in pre-fermento, i più austeri critici della lirica temono dissacrazioni e blasfemie, addirittura una Carmen mafiosa se non addirittura trans. Né li rassicura l’assoluta fiducia e l’entusiasmo del sovrintendente Stephane Lissner e di Daniel Barenboim, che dirigerà l’opera di Bizet e sta vivendo un idillio professionale con la serena, semplice, giovane donna alla sua prima regia lirica (“mai entrata prima alla Scala, mai visto un’opera”), che cura anche i costumi, solitamente molto dissestati se non inesistenti.
“Barenboim mi aiuta molto: e io sto imparando tutto da lui. Ci unisce la passione per questo progetto che tocca la mia sensibilità, anche se per me l’opera è come un paese straniero di cui non parlo la lingua, ma che cerco di capire con molta umiltà. L’unico disaccordo riguarda le nacchere: io le preferirei nell’orchestra, lui le vuole sul palcoscenico”.
Emma Dante, scarponi e pantaloni da sciatore anni ’30, meches bianche nei capelli color mogano e una sottile lunga treccina che le scende sul petto, è incantata e perplessa. “Carmen è una creatura nuova per me, e mi sento più vicina a quella di Mérimée che a quella di Bizet: le donne dei miei spettacoli sono scimunite che un contesto di furia, dolore e sottomissione ha rincoglionito. Carmen invece non è una vittima, è una ribelle che trasgredisce ogni regola, che diserta ogni perbenismo: conosce da sempre il suo destino di morte e per sete di libertà è lei ad andarle incontro”.
Lo scenografo Richard Peduzzi e la responsabile delle luci, Dominique Bruguière, “hanno girato a lungo con me a Palermo, per trovare certi colori sgretolati, certe penombre allarmanti. Ma sul palcoscenico non ci saranno né Palermo né Siviglia, ma un Sud dell’anima, dove tutto avviene in piazza, l’amore, la morte, la tragedia, il sacrilegio, sotto gli occhi dei poveracci e dei piccoli criminali”. Già il cardinal Bertone se la prese anni fa con il suo spettacolo La scimia, tratto da un’opera di Landolfi, dove un bel giovanotto nudo nel ruolo di scimmia finisce crocefisso; la sua Carmen susciterà scomuniche se non ecclesiastiche, magari mondane? “Il paese immaginario di Micaela, Don José ed Escamillo, è immerso nella religiosità e nella superstizione, affollato di croci, chierichetti, sacerdoti, ex voto, arredi sacri che tentano di ghermire la laica e libera Carmen che pure non è vestita da zingara ma da suora, come le sigaraie che vivono ammassate in una fabbrica monastica e carceraria”.