Trivellazioni, canale di Sicilia ancora a rischio

SICILIA – Nonostante le numerose proteste e il netto rifiuto di comuni e Regione Siciliana le autorizzazioni ad effettuare trivellazioni nel canale di Sicilia sono ancora numerose. Nella foto una delle aree su cui ricade una autorizzazione ad effettuare ricerche. Di questo si è parlato stamattina nell’Aula della Camera, dove l’on. Catia Polidori, ha risposto ad un’interrogazione dell’on. angelo Capodicasa del Partito Democratico. “La preoccupazione che ha interessato i sindaci, la Regione Siciliana, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e degli operatori nel settore del turismo e della pesca è fondata: il pericolo non è scongiurato”. Ha detto l’on. Capodicasa (Pd), nell’Aula di Montecitorio, nel corso dell’illustrazione dell’interpellanza sulle trivellazioni nel Canale di Sicilia, a cui ha risposto il sottosegretario allo Sviluppo economico. “Come ci è stato detto e confermato, molte delle iniziative di trivellazione nel Canale di Sicilia sono ancora in atto, ancorché alcune di esse non hanno visto materialmente l’inizio delle attività”. “La risposta del governo è insoddisfacente – ha dichiarato Capodicasa (Pd) – ci si sta limitando a verificare il rispetto del limite delle 12 miglia dalle aree marine protette, o se le iniziative ricadano o meno nelle acque territoriali italiane, manca una politica di insieme”. “I danni per il turismo, per la pesca e per l’ambiente – chiede il deputato Pd – sarebbero meno gravi se le trivellazioni fossero effettuate a 13 miglia dalle aree protette? Non saranno uno o due miglia in più a mettere le coste siciliane al riparo dagli eventuali danni che potrebbero essere recati alle attività turistiche, all’ecosistema marino o ancora alle attività di pesca”. “Oltre a intervenire sulle attività di stretta pertinenza e competenza dello Stato italiano – conclude Capodicasa (Pd) – bisogna fare in modo che le istituzioni internazionali, in primo luogo l’Europa, intervengano affinché questa attività sia rigorosamente disciplinata, in modo tale da non costituire un rischio per l’ecosistema e quindi all’economia dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo”.

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