Ingiustizie e talenti

Emma Dante

Vi segnaliamo questa riflessione di Roberto Alajmo dalla sua rubrica quotidiana, apparsa ieri su l’Unità.
La gabbia del talento
Se un palermitano vuole vedere uno spettacolo della regista palermitana Emma Dante deve andare alla Scala di Milano. Oppure al Valle di Roma. Nella sua città Emma Dante non ha diritto di visibilità artistica. Certo, può darsi che il resto del mondo sopravvaluti il suo talento. Ma è pure vero che ai cittadini della sua città dovrebbe essere data almeno la possibilità di giudicare.
Che un’artista come lei non abbia diritto di cittadinanza in nessuno spazio pubblico è uno dei motivi per cui Palermo è una città ormai alla deriva morale, oltre che culturale. Non è giusto. Ma appunto: «giusto». Confidando nell’intelligenza del lettore, bisogna qui azzardare una distinzione fra i concetti di «giusto» e «meglio». Sarebbe giusto, per esempio, che il talento di Emma Dante fosse rappresentato nel teatro della sua città. E tuttavia in passato altri talenti cittadini cresciuti in mezzo alla spazzatura sono stati resi sterili, dopo essere stati pelosamente affiliati al teatro Stabile. Per cui forse è anche vero che il talento di Emma Dante si nutre di questa ingiustizia: ed è «meglio» che da questo genere di istituzioni, fin quando saranno gestite come sono gestite, una come lei si tenga alla larga.
Il problema è molto italiano: non è tanto che gli asini facciano carriera. Il problema è che solo gli asini ormai fanno carriera. Sono saltati tutti gli ammortizzatori morali per cui, per dirla secondo una famosa battuta, alla Rai ogni cinque assunti o promossi per raccomandazione, uno era anche bravo. La mutazione del sistema ha portato alla vera e propria discriminazione del talento. Gli aguzzini della Dante, persino i suoi colleghi godranno a vederla sbattere le grandi ali nella gabbia troppo piccola in cui pensano di averla rinchiusa. In cui essi stessi vivono, senza immaginare che esista altro che gabbia e gabbia.

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